Le ossa ci sostengono, permettono il movimento, proteggono i nostri organi. Sono insieme rigide ed elastiche, tanto da resistere alle normali pressioni, urti, torsioni a cui le sottopone il vivere quotidiano.
Le ossa iniziano a formarsi già nel periodo fetale poi, dopo la nascita, acquistano rigidità crescendo in forza e dimensione durante l’infanzia e l’adolescenza fino a raggiungere il cosiddetto picco di massa ossea. Ciò avviene intorno ai 20-25 anni di età, il momento in cui le ossa arrivano alla loro massima dimensione e forza e lo scheletro è completamente formato. Raggiungere il massimo del proprio potenziale genetico di massa ossea è molto importante, perché da questo momento l’osso non si accrescerà più e il tessuto accumulato dovrà anche fungere da riserva su cui far conto per tutta la vita restante.
Ma anche dopo il raggiungimento del picco l’osso non si ferma, il suo tessuto infatti non è mai statico, costituito una volta per sempre, e anche dopo aver toccato l'apice della sua forza e dimensione, per tutta la vita continua a seguire un processo di continuo riassorbimento e riformazione della materia, chiamato turnover osseo. Il turnover serve a rimpiazzare il tessuto invecchiato o deteriorato durante la normale vita quotidiana (per esempio a causa di microfratture), sostituendolo con altro tessuto nuovo e integro.
Questo processo è compiuto ad opera di due tipi di cellule, quelle responsabili del riassorbimento osseo, dette osteoclasti, e quelle deputate alla sua riformazione, dette osteoblasti. Quando gli osteoblasti hanno compiuto il loro lavoro di formazione dell’osso si trasformano in osteociti e rimangono ‘intrappolati’ nel tessuto osseo: in caso di frattura però vengono sollecitati a trasformarsi di nuovo in osteoblasti e a riprendere quindi la loro attività di costruzione.
Questo processo è molto delicato e quando qualcosa non funziona perfettamente l’equilibrio si rompe e l’osso si ammala.
Alcune malattie dell’osso sono genetiche, e quindi trasmesse dai genitori ai figli, e possono manifestarsi fin dalla nascita o più tardi nel tempo. Altre malattie possono essere condizioni degenerative, come l’osteoporosi.
CHE COS’È L’OSTEPOROSI
La parola ‘osteoporosi’ è formata dal termine ‘osteo’, che significa ‘osso’, e dal termine ‘porosi’ che indica l’aumentata porosità del tessuto. L’osteoporosi infatti rende le ossa sottili e fragili, soggette fratture che avvengono anche spontaneamente o in seguito a un trauma minimo, causando sofferenza e compromettendo notevolmente la qualità della vita.
L’osteoporosi è la patologia metabolica ossea più frequente, detta “la malattia silenziosa” perché avanza gradualmente senza sintomi: la perdita di materia ossea avviene progressivamente, senza dare segnali fino al verificarsi della frattura.
Le fratture più comuni nell’osteoporosi sono quelle del polso, delle vertebre e del femore.
Molto spesso chi soffre di osteoporosi se ne accorge proprio nel momento in cui subisce la prima frattura, ma non sempre. Le fratture vertebrali infatti frequentemente non sono neppure diagnosticate e il dolore che esse provocano viene confuso con un normale mal di schiena: solo quando la colonna vertebrale crolla ci si accorge della reale portata dal problema. Invece la presenza di mal di schiena, accompagnato da perdita di altezza (più di 3 cm), soprattutto se accompagnata dall’incurvarsi della colonna vertebrale, dovrebbe far scattare il campanello di allarme.
Anche le fratture dell’avambraccio o del polso sono spesso ritenute conseguenze naturale di urto o di una caduta, e non spingono a fare accertamenti diagnostici sulla presenza dell’osteoporosi. Invece le fratture all’anca e al femore, che richiedono spesso interventi chirurgici e ospedalizzazione, portano più frequentemente al riconoscimento della patologia.
Dopo la prima frattura diventa poi ancora più probabile subirne una nuova e dopo la frattura dell’anca un quarto delle persone non saranno più in grado di camminare o andranno incontro alla morte.
L’osteoporosi è estremamente diffusa: si stima che ogni tre secondi avvenga nel mondo una frattura ossea da fragilità e si calcola che, dopo i 50 anni, una donna su 3 e un uomo su 5 sia destinato a subire una frattura da fragilità.
CHE COSA CAUSA L’OSTEPOROSI?
Dal momento della fase fetale, fino a tutta l’infanzia e l’adolescenza le ossa crescono di dimensioni e robustezza: in questa fase l’azione della formazione ossea è superiore all’attività di riassorbimento. Questo avviene fino al raggiungimento del picco di massa ossea. A partire dal raggiungimento del picco, per una ventina di anni, non ci sarà più incremento di massa ossea e la quantità di osso formato dagli osteoblasti si equivarrà a quella riassorbita dagli osteoclasti.
Con il progredire dell’età, a partire dai 45-50 anni, il rapporto tra la produzione e riassorbimento si modifica e la quantità di osso riassorbito inizia a superare la quantità di osso prodotto. Ecco perché raggiungere il massimo del proprio potenziale genetico di massa ossea è molto importante: un aumento del 10% del proprio picco di massa ossea possa ritardare di 13 anni l’insorgenza dell’osteoporosi. La probabilità di ammalarsi di osteoporosi dipende molto dalla quantità di osso formata al momento del raggiungimento del picco di massa ossea, ma sono importanti anche altri fattori, come i livelli ormonali.
Nelle donne, al momento della menopausa, i livelli di estrogeni si riducono, e questo si riflette sullo scheletro: qui assistiamo a un aumento del riassorbimento osseo, che porta a una rapida riduzione della quantità di osso, in particolare di quello delle vertebre che diventano più fragili. Questo processo è particolarmente marcato nei primi 4-5 anni dopo la menopausa e si attenua successivamente.
Negli uomini la perdita di osso è la conseguenza del calo del testosterone (per cui si ha una riduzione del processo di formazione ossea) e del calo di estrogeni (che causa un aumento del riassorbimento). La riduzione dei livelli del testosterone è graduale, così anche la perdita ossea maschile è più lineare di quella femminile. Tuttavia l’osso dell’uomo è più grosso di quello della donna, per questo risente meno del deficit ormonale con l’età.
CHI È A RISCHIO DI OSTEOPOROSI
FATTORI MODIFICABILI E NON MODIFICABILI
Un fattore di rischio è una condizione che aumenta la possibilità di contrarre una determinata malattia, ma non significa che sicuramente ci si ammalerà. Però, più fattori di rischio si hanno, più il rischio è elevato.
I fattori di rischio per l’osteoporosi possono essere modificabili o non modificabili. Sono modificabili tutti quei fattori che dipendono dalle nostre scelte e abitudini di vita, mentre non lo sono quelli che dipendono dal patrimonio genetico, dall’età o da malattie concomitanti:
Fattori di rischio modificabili sono
- Assunzione di più di due unità di alcol al giorno: un unità di alcol corrisponde a 12 g di etanolo, ossia l’alcol contenuto in una lattina di birra (330 ml) di media gradazione, in un bicchiere (125 ml) di vino a media gradazione, o in un un bicchierino (40 ml) di superalcolico. Il consumo superiore, oltre le 2 unità di bevande alcoliche al giorno, causa un aumento del rischio di fratture da fragilità. L’assunzione di più di quattro unità al giorno può raddoppiare il rischio di frattura. L’alcol infatti riduce gli osteoblasti (cellule che favoriscono la crescita dell’osso), altera lo stato nutrizionale (provocando malnutrizione, epatopatie, ecc.) e aumenta il rischio di cadute.
- Fumo: fumatori ed ex fumatori presentano un rischio di frattura aumentato rispetto ai non fumatori, in quanto il fumo interferisce con l’assorbimento di calcio. Studi condotti in vari paesi hanno dimostrato che il fumo aumenta il rischio di frattura dell’anca di 1,8 volte. Tale rischio si riduce dopo l’interruzione dell’abitudine al fumo.
- Basso indice di massa corporea
- Scarso apporto di calcio: un’alimentazione povera di calcio contribuisce alla diminuzione della densità ossea e al deperimento osseo precoce, quindi fa aumentare il rischio di fratture
- Malnutrizione o disordini alimentari: le persone affette da anoressia o da bulimia hanno un maggior rischio di diminuzione della densità ossea
- Carenza di vitamina D
- Sedentarietà: gli esercizi di resistenza fanno bene alle ossa e rafforzano il tono muscolare
Fattori di rischio non modificabili sono:
- Età
- Appartenenza alla popolazione di tipo europeo di pelle chiara (tipo europeo caucasico)
- Sesso femminile
- Storia familiare di osteoporosi: se si ha un genitore con osteoporosi, in particolare con osteoporosi complicata da frattura vertebrale o di femore, il rischio aumenta;
- Precedenti fratture
- Terapia a lungo termine con alcuni medicinali, tra cui:
-
- corticosteroidi, usati nella cura dell’artrite reumatoide
- antiaromatasici usati come terapia per il tumore alla mammella
- alcuni anticonvulsivanti
- inibitori di pompa protonica
- antiacidi contenenti alluminio
- Per le donne: menopausa/menopausa precoce, isterectomia
- Per gli uomini: ipogonadismo primario o secondario
- Alcune malattie croniche
- Malattie croniche e osteoporosi
La ricerca ha individuato molti legami tra alcune malattie croniche e l’aumentato rischio di osteoporosi
Malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer è causa del 60-80% dei casi di demenza, termine che indica una perdita di memoria e di altre abilità cognitive tale da interferire con la vita quotidiana. I sintomi si sviluppano di solito lentamente e peggiorano con il tempo. Chi soffre di demenza ha una probabilità fino a tre volte maggiore di andare incontro a una frattura femorale rispetto a un anziano cognitivamente integro. Tuttavia, rispetto agli anziani senza compromissione cognitiva, queste persone hanno meno probabilità di beneficiare di un trattamento contro l’osteoporosi e meno probabilità di recuperare le capacità funzionali precedenti la frattura femorale, tanto che è più comune che necessitino di ricovero in istituto.
Chi si prende cura di persone che soffrono di demenza dovrebbe essere a conoscenza di questo rischio aumentato e assicurarsi che siano prese misure appropriate per prevenire possibili cadute e fratture. Inoltre:
- Sebbene coloro che soffrono di demenza cadano più di frequente, si fratturino di più e presentino una più alta mortalità post-frattura rispetto alle persone senza demenza, sono sottovalutati relativamente ai fattori di rischio per caduta ed è meno probabile che ricevano un trattamento per l’osteoporosi.
- I pazienti con storia di cadute e fratture presentano un’alta incidenza di demenza e deficit cognitivo, tuttavia la loro situazione cognitiva non è valutata di routine, perdendo spesso l’opportunità di diagnosticare la demenza.
- Il basso indice di massa corporea (IMC), la perdita di peso, la diminuita massa muscolare, le carenze nutrizionali e la direzione laterale della caduta possono essere più comuni nei pazienti con malattia di Alzheimer e possono spiegare il rischio aumentato di frattura femorale.
Artrite Reumatoide
L’artrite reumatoide è una patologia autoimmune infiammatoria cronica, nella quale le membrane intorno alle articolazioni si infiammano e rilasciano citochine che causano l’usura della cartilagine circostante e la perdita di massa ossea presso le articolazioni colpite.
L’artrite reumatoide è più diffusa tra gli anziani, sebbene anche bambini e giovani adulti possono esserne affetti. La malattia colpisce dalle due o tre volte di più le donne rispetto agli uomini.
Le persone con artrite reumatoide spesso provano dolore, gonfiore e rigidità che provocano mobilità ridotta nelle articolazioni affette. Questo può influenzare la capacità di affrontare le attività quotidiane.
L’artrite reumatoide accelera il processo di perdita di massa ossea ed è perciò un fattore di rischio riconosciuto per l’osteoporosi. Di conseguenza, le persone che soffrono di tale patologia hanno un rischio 1,5 volte maggiore di subire fratture da fragilità rispetto alla popolazione generale. Più l’artrite reumatoide è grave, più l’osso ne risente. Al contrario dell’artrite reumatoide, l’osteoartrite (la più comune forma di artrite) non è associata a un maggiore rischio di osteoporosi.
- Per ridurre il dolore e la rigidità nell’artrite reumatoide sono comunemente usati i glucocorticosteroidi (come il prednisone/prednisolone). L’uso di questi farmaci per lunghi periodi porta alla perdita di massa ossea, più rapida nei primi 3-6 mesi di trattamento. Ciò causa un aumentato rischio di frattura, soprattutto di fratture vertebrali. Il rischio di frattura aumenta anche assumendo basse dosi di medicinale (2,5-7,5 mg prednisone al giorno). Anche cicli alternati di glucocorticoidi orali e di iniezioni intravenose, se frequenti e a dosi elevate, causano perdita di massa ossea. Si pensa invece che le iniezioni di glucocorticoidi nelle articolazioni non incidano sulla salute delle ossa.
- Nell’artrite reumatoide il sistema immunitario attacca le articolazioni che, in risposta, si infiammano. Il danno risultante innesca un ciclo di maggiore infiammazione e compromette altre aree del corpo, incluse le ossa. L’osso che circonda le articolazioni infiammate è più colpito, come è spesso visibile con l’uso dei raggi X.
- Il dolore e la difficoltà di movimento dovute all’artrite reumatoide complicano la possibilità di vita attiva. Poiché le ossa necessitano di regolare esercizio fisico per mantenersi forti, a lungo termine la mancanza di movimento le rende più deboli, aumentando il rischio di osteoporosi e di frattura.
Tumori
I trattamenti antitumorali (chemioterapia, radioterapia e farmaci come i corticosteroidi) influenzano negativamente la salute delle ossa.
Alcuni tumori (come il cancro della prostata o del seno) sono trattati con terapie che riducendo i livelli di ormoni causano perdita di massa ossea.
Il tumore stesso, o le metastasi ossee, possono stimolare la produzione di osteoclasti, le cellule che riassorbono l’osso.
Inoltre, altri fattori legati al tumore, quali basso peso corporeo, debolezza, malnutrizione o immobilizzazione prolungata, possono avere un impatto negativo sulla salute delle ossa o sul rischio di caduta.
Cancro mammario:
Le donne che hanno assunto un trattamento antitumorale per il cancro mammario sono a maggior rischio di osteoporosi e quindi di fratture per diversi motivi.
Gli estrogeni hanno un effetto protettivo sull’osso, ridurre i livelli degli estrogeni porta a una rapida perdita ossea: se una donna ha assunto una terapia con inibitore dell’aromatasi (utilizzata per il cancro al seno), può andare incontro a un incremento di perdita di massa ossea da due a quattro volte maggiore rispetto al tasso normale di perdita ossea dovuto alla menopausa e ha un rischio di frattura di circa il 10% in più.
Anche la chirurgia che causa la perdita di funzionalità ovarica comporta una riduzione dei livelli di estrogeni. Nelle donne più giovani in premenopausa, i trattamenti antitumorali per il cancro al seno possono causare una menopausa precoce, che è un fattore di rischio per l’osteoporosi.
Cancro della prostata:
Un tipo di trattamento per il cancro della prostata è la terapia di deprivazione androgenica (TDA), che riduce la quantità di testosterone e ormoni correlati, al fine di ridurre le dimensioni del tumore o rallentarne la crescita. La perdita di massa ossea è rapida negli uomini trattati con TDA, pari al 2-4% durante il primo anno di trattamento. Di conseguenza, gli uomini che hanno assunto terapia antiormonale o l’asportazione dei testicoli hanno un significativo aumento del rischio di frattura.
Celiachia
La celiachia è una malattia genetica autoimmune, caratterizzata da intolleranza al glutine presente in grano, segale e orzo. Chi ne soffre subisce danni alla superficie intestinale, che hanno come conseguenza lo scarso assorbimento di minerali e vitamine, e insorgenza di sintomi quali diarrea e perdita di peso. Il disturbo deve essere controllato seguendo rigorosamente una dieta senza glutine, che permetta alla superficie intestinale di guarire e ai nutrienti di essere di nuovo correttamente assorbiti.
L’aumentato rischio di osteoporosi tra le persone affette da celiachia è dovuto al malassorbimento di calcio, vitamina D, proteine e altre sostanze nutritive, oltre al deficit di peso ad esso correlato. L’incidenza di fratture nelle persone celiache è più alta rispetto alle persone non affette, con incrementi del 30% e di quasi l’80% rispettivamente, per le fratture del femore e del polso.
È essenziale una diagnosi precoce della celiachia, così come seguire uno stile di vita sano, con una rigorosa dieta priva di glutine, ma ricca di calcio e vitamina D.
Diabete
Il diabete mellito è una malattia metabolica che si verifica quando il pancreas non è più in grado di produrre insulina, o quando il corpo non può fare buon uso dell’insulina prodotta, in questo modo i livelli di glucosio nel sangue aumentano e ciò a lungo termine può danneggiare l’organismo.
Perché il diabete aumenta il rischio di osteoporosi e di fratture?
Anche se occorrono ulteriori ricerche per chiarire il rapporto tra queste due malattie, è dimostrato che la salute delle ossa è compromessa dal diabete. L’interazione tra osso e insulina è un collegamento fondamentale tra osteoporosi e diabete, inoltre l’uso di alcuni farmaci antidiabetici è stato associato a un aumentato rischio di fratture.
• Le persone con diabete di tipo 1 hanno una densità minerale ossea minore e un aumentato rischio di fratture. I dati raccolti dimostrano che anche le persone con diabete di tipo 2 che hanno complicazioni, (in particolare complicanze microvascolari, come retinopatia diabetica o malattie renali), sono ad aumentato rischio di alcuni tipi di fratture osteoporotiche, pur avendo un BMD più elevato rispetto alle persone con diabete di tipo 1.
• Le donne con diabete di tipo 1 e 2 presentano anche un aumento del rischio di fratture a causa di problemi a carico della vista e del sistema nervoso associati al diabete, che provocano un aumento del rischio di cadute. L’ipoglicemia, o bassi livelli di zucchero nel sangue, può contribuire a cadute e fratture.
• Anche l’abitudine a uno stile di vita sedentario, comune in molte persone con diabete di tipo 2, può interferire con la salute delle ossa.
Fanno parte delle malattie metaboliche dell’osso alcune condizioni identificate come “malattie rare”. Con termine malattie rara si identifica un gruppo eterogeneo di condizioni patologiche accomunate da una bassa frequenza numerica sull’intera popolazione. L’unione europeo definisce “rara” una patologia che colpisce una persona su 2000: seguendo questo criterio sono state identificate 6000 patologie, che rappresentano il 10% del totale delle malattie.
Molte di queste malattie sono complesse, gravi e cronicamente debilitanti, sono in generale poco conosciute e quindi difficili da diagnosticare.
Molte sono presenti già dalla nascita, ma, in oltre il 50% dei casi, la prima manifestazione si verifica nell’adolescenza o in età adulta e talora la loro manifestazione clinica può essere confusa con quella di malattie metaboliche più comuni, come l’osteoporosi.
Nell’ultimo ventennio, la descrizione di fenotipi clinici e radiologici di numerose malattie genetiche rare è andata di pari passo con la scoperta di regolatori del metabolismo osseo. Data la complessità e l’estrema eterogeneità di segni clinici, negli ultimi anni si è costituito un gruppo di studio sulle malattie rare dell’osso nell’ambito della International Osteoporosis Foundation (IOF), denominato Skeletal Rare DiseasesWorking Group (SRDWG), il cui primo lavoro è stato quello di realizzazione di una classificazione delle malattie rare di origine ossea sulla base dell’origine metabolica e non solo sulla base delle caratteristiche radiologiche come fino a quel momento era evidente in letteratura.
In tal modo, sono state individuate malattie che sono la conseguenza di una anomala funzione delle cellule che regolano la formazione dell’osso (osteoblasti, osteoclasti o osteociti), delle proteine che formano la matrice, di sostanze locali e ormoni che regolano la attività del tessuto osseo. In tal modo sono state identificate 116 malattie e 86 geni responsabili.
Esistono, inoltre, malattie rare che non sono di origine ossea ma in cui l’osso è compromesso. Un esempio è rappresentato dalla malattia di Gaucher, malattia ereditaria in cui lo scheletro risente negativamente del difetto enzimatico che è responsabile della malattia.
In questi ultimi anni l’industria farmaceutica ha sviluppato farmaci per malattie rare dell’osso che fino a poco tempo fa non erano curabili. Un esempio è la malattia chiamata ipofosfatasia, caratterizzata da un difetto del gene che serve per la sintesi di una sostanza (fosfatasi alcalina) importante nella regolazione della mineralizzazione. I bambini affetti da questa malattia hanno un osso demineralizzato che impedisce loro una vita normale e talvolta non è compatibile con la vita. Oggi è disponibile la terapia per tale disordine.
Un altro esempio è rappresentato da una forma di rachitismo genetico ipofosforemico, detto X-linked, che è caratterizzato da un difetto genetico che porta a un aumento nel sangue di un fattore che regola il fosfato e la sintesi di vitamina D. L’eccesso di questo fattore (chiamato FGF23) determina la demineralizzazione del tessuto osseo con conseguente deformità delle ossa in particolare degli arti inferiori con dolore anche importante. È oggi in studio un farmaco che blocca la attività di FGF23, e che potrà essere in futuro utilizzato per il trattamento di questa forma di rachitismo.
La scoperta di farmaci per malattie rare potrà in futuro aprire la possibilità di trattare non solo le forme severe che colpiscono l’età infantile, ma anche i pazienti diagnosticati in età adulta.