Il sole dovrebbe essere considerato un ingrediente della dieta mediterranea. Abbonda in Italia come i pomodori e regala, a suo modo, una vitamina. La D, che è poi la più strana fra le vitamine. Solo in minima parte, circa un 20 per cento del necessario, la assimiliamo da quello che mangiamo. Per il resto la sintetizziamo, come fosse un ormone, attraverso la pelle e grazie alla luce. Anno dopo anno, si stanno scoprendo le sue azioni strepitose sull’organismo. Non solo è essenziale per le ossa ma, in base alle ultime scoperte, sembra svolgere anche un’attività antinfiammatoria e anticancro. Si è visto, per esempio, che i pazienti con livelli bassi della vitamina D sono più a rischio di sviluppare i sintomi del colon irritabile o della colite infiammatoria.
In altre parole, va ribaltata la convinzione che il sole faccia male. Non è un nemico, anzi: si potrebbe dire che è quasi un farmaco. Poi, come tutti i medicinali, va preso con le dovute precauzioni. Altrimenti diventa deleterio.

Super scheletro
Nello scheletro operano da protagonisti il calcio, le proteine, le cellule e il midollo osseo, che sforna globuli rossi e contribuisce al rinnovo costante del tessuto osseo. E c’è un direttore d’orchestra, qualcosa che dà l’attacco agli strumenti e rende fluida la musica: chi consente l’assorbimento del calcio e la sua fissazione nelle ossa è proprio la vitamina D.
Serve a tutte le età. Prima per costruire lo scheletro, quindi per rafforzarlo, infine per prevenire le fratture da osteoporosi, la fragilità delle ossa che colpisce soprattutto le donne dopo la menopausa. A tutte le età è consigliata la stessa cosa: stare all’aria aperta. Dunque, abbeveriamoci d’estate.
Il corpo sintetizza ogni giorno l’80 per cento della vitamina D che gli serve attraverso la pelle. Ma per svilupparsi ha bisogno del sole. Come un frutto. «Il sole, con tutti quei pianeti che girano intorno ad esso e da esso dipendono, può ancora maturare un grappolo d’uva come se non vi fosse nient’altro da fare in tutto l’Universo», riflette Galileo Galilei.
Una bambina dovrebbe godersi ogni giorno il cielo. Una ragazza andare a piedi, svelta, per tenersi in forma sotto bagni di luce. Gli anziani: fuori di casa!

Quanto esporsi
Il processo per ottenere la vitamina D ha bisogno dei raggi UVB, un tipo di radiazioni ultraviolette assorbite soprattutto dalle cellule dell’epidermide. Per questo sarebbe necessario esporre alla luce la pelle (nuda) di viso, braccia e gambe per 15-20 minuti almeno tre volte alla settimana.
Con il freddo è più dura, allora bisogna fare il pieno d’estate. Calando il consiglio nella vita reale di ciascuno, si può pensare di uscire spesso nelle ore più calde d’autunno e d’inverno, restando per un po’ senza guanti, e di approfittare dei mesi da aprile a settembre per star fuori 20-40 minuti in costume o in maglietta e gonna o calzoni corti, in modo da coprire il fabbisogno anche per gli altri periodi dell’anno.

La crema solare
La domanda, legittima, è: proteggere la pelle sotto l’ombrellone o con le creme solari può portare a un deficit di vitamina D? No, questo rischio non esiste. La crema, per rispettare il fattore di protezione specificato sul prodotto, dovrebbe essere cosparsa più volte, in abbondanza e in maniera uniforme nell’arco della giornata, in quantità pari a 2 milligrammi al centimetro quadrato di pelle per ogni singola applicazione. È assai raro che perfino la persona più attenta rispetti tali dosaggi.
Quindi, le raccomandazioni dei dermatologi non cambiano rispetto al passato: è necessario usare la crema con un filtro adeguato, che dovrebbe avere un fattore di protezione elevato specie per le persone con fototipo di pelle 1 e 2, 50 o più. Ed è raccomandata l’esposizione nelle prime e nelle ultime ore della giornata.

Gli integratori
Non tutti riescono a fare vita all’aperto e non tutti hanno la fortuna di vivere in Paesi baciati dalla luce. A latitudini settentrionali, come nella Penisola scandinava, il sole d’inverno viene schermato dall’atmosfera, non passano i raggi UVB. In ogni luogo della Terra, invece, sono identiche le questioni femminili. E allora si pone il tema degli integratori.
Con la fine della fertilità, si perdono gli estrogeni ovarici, gli ormoni sessuali caratteristici delle donne. Per di più, negli anziani diventano difettosi i meccanismi di sintesi della pelle. Il fatto è che sette italiane su dieci, dopo i sessanta, risultano a corto di vitamina D. Ecco perché, con la menopausa, molti medici prescrivono un’integrazione della vitamina e del calcio. Conviene seguire il consiglio. Non solo per scongiurare la debolezza delle ossa tipiche dell’osteopenia e dell’osteoporosi: ricerche recenti hanno correlato una carenza di vitamina D con l’insorgere o l’aggravarsi di diabete, ipertensione e problemi cardiovascolari.
Un altro momento delicato per le donne, in cui il ginecologo in genere prescrive un supplemento, è la gravidanza, perché la mamma deve provvedere anche alle esigenze di crescita ossea del feto. Sempre e comunque va allontanata la tentazione del curarsi da sé.

In menopausa
L’equilibrio del corpo è complesso, come lo è la sintesi della vitamina D. La generazione parte dalla pelle, dove se ne sta acquattato un composto derivato dal colesterolo. I raggi ultravioletti lo trasformano in vitamina D3 o colecalciferolo.
È una vitamina non ancora pronta per svolgere le sue funzioni, detta nativa. Occorrono due step, a livello epatico e a livello renale, perché sia immessa nel circuito del corpo la vitamina D. A quel punto svolge la sua doppia attività: incrementa l’assorbimento del calcio attraverso l’intestino e frena gli Attila dello scheletro, gli osteoclasti, le cellule che riassorbono l’osso.
L’armonia non dura per sempre. Nella donna, il processo involutivo delle ossa inizia verso i 35 anni e si accentua bruscamente dopo la menopausa. Se supera i limiti, il decremento di minerale porta all’osteoporosi. Quando il patrimonio osseo accumulato dall’infanzia all’età adulta è notevole, non si hanno problemi. E tanto, veramente tanto, fa l’esercizio fisico: sono i muscoli a stimolare la vita dell’osso.

La revisione scientifica dell’articolo, pubblicato sul numero di Io Donna di sabato 23 giugno, è di Maria Luisa Brandi, professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Firenze e presidente di Firmo, Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso.

 

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